Conflitto femoro-acetabolare: che legami ha con lo sport?
Lo sport in giovane età è fondamentale sia per abituare i futuri adulti a uno stile di vita attivo e dinamico, lontano dall’obesità e dai rischi correlati, sia per sviluppare capacità relazionali e sociali, per citare solo alcuni dei benefici dell’attività sportiva durante l’adolescenza. Tuttavia, sottoporre il giovanissimo atleta a un allenamento agonistico eccessivo potrebbe essere causa di problemi futuri. É il caso del conflitto femoro-acetabolare che, se non trattato, può portare all’artrosi precoce dell’anca: basti pensare che la maggior parte dell’artrosi giovanili sotto i 50 anni deriva da un conflitto femoro-acetabolare. Ne parla il dott. Nicola Santori, direttore di Anca Surgical Center.
Cos’è il conflitto femoro-acetabolare
Per conflitto femoro-acetabolare si intende un’anomalia morfologica della zona dell’anca dove si produce il contatto tra la testa-collo del femore e la superficie della cavità acetabolare. In presenza di questa anomalia, durante il movimento della gamba si crea un attrito anormale tra femore e acetabolo, con conseguente dolore e progressiva degenerazione della cartilagine che nel tempo può portare all’artrosi. La causa principale del conflitto femoro-acetabolare è proprio l’attività sportiva in eccesso durante la pubertà, in particolare i 14-17 anni per i ragazzi e 13-16 anni per le ragazze, periodo nel quale il corpo è ancora in fase di sviluppo. Lo ha confermato anche uno studio recente pubblicato sul British Journal of Sports Medicine nel 2018 che ha coinvolto 210 ragazzi di 18 anni. Dalla ricerca era emerso che negli atleti agonisti era presente una deformità di 80° della giunzione tra femore e acetabolo, contro i 65° degli atleti amatoriali (i valori normali sarebbero 55°) e un’inclinazione trascurabile in chi praticava attività sportiva in modo non regolare. Oltre alla causa sportiva, si ipotizza anche che nella comparsa del conflitto femoro-acetabolare ci possano essere anche dei fattori ereditari.
L’anca degli sportivi
Il tipo di deformità più comune negli sportivi viene definita “cam”, a causa della somiglianza della forma anomala del femore prossimale con la camma di un ingranaggio meccanico. È causata dallo sviluppo anomalo della cartilagine di accrescimento nella zona tra testa e collo del femore che, sollecitata dai movimenti durante l’attività sportiva intensa, viene stimolata a produrre dei micromovimenti di aggiustamento per stabilizzarsi, che però finiscono per portare a uno sviluppo anomalo del femore e conseguente usura accelerata della cartilagine. Questo processo è del tutto asintomatico, per cui lo sportivo si rende conto del problema quando ormai il danno articolare è già avanzato. Uno studio del 2013 pubblicato su Arthroscopy [2] che aveva coinvolto 240 giocatori di football americano, aveva evidenziato che l’87% degli atleti era stato colpito dal conflitto femoro-acetabolare, ma solo un terzo risultava sintomatico. La mancanza di sintomi potrebbe essere dovuta anche ai meccanismi di compenso che mette in atto l’organismo per sopperire alla limitazione del movimento dell’articolazione dell’anca. Tuttavia, questi meccanismi di compenso coinvolgono la colonna vertebrale, portando a un sovraccarico pericoloso della zona lombare. Per questo, parlando di conflitto femoro-acetabolare, in realtà spesso si preferisce definirlo come un problema del cingolo lombo-pelvico.
Come si diagnostica?
Quando si tratta di conflitto femoro-acetabolare “giovanile”, i fattori che costringono una diagnosi tardiva non si limitano solo alla mancanza di sintomi ben evidenti della patologia. Infatti, in molti casi l’atleta è abituato a una soglia del dolore molto alta, che lo porta a convivere con il fastidio e ritenerlo quasi normale. Oltre a questo, è molto comune che il giovane sportivo abbia paura di denunciare una problematica fisica che lo potrebbe portare a interrompere gli allenamenti, magari in un momento cruciale per la propria carriera. Tuttavia, una diagnosi tempestiva è fondamentale per permettere il trattamento della patologia prima che generi artrosi precoce, o comunque per consentire di ottenere buoni risultati a seguito dell’intervento chirurgico. Il primo passo diagnostico è la raccolta delle informazioni e della storia clinica del paziente (anamnesi). In questo modo lo specialista è in grado di classificare il tipo di dolore che accusa il paziente, che nel caso del conflitto femoro-acetabolare è localizzato nella zona anteriore, posteriore e laterale dell’anca, distribuito come se fosse una mezzaluna. Inoltre, il dolore aumenta quando si effettua una flessione dell’anca, intensificandosi se alla flessione si aggiunge una rotazione interna con l’anca in adduzione. In genere, se presente il conflitto femoro-acetabolare, questo tipo di movimento è molto limitato e il paziente ha difficoltà a compierlo. La diagnosi della patologia viene completata con una radiografia, che ha lo scopo di evidenziare le eventuali anomalie morfologiche a livello del femore (deformità cam) o dell’acetabolo (deformità pincer).
Come si cura?
La cura del conflitto femoro-acetabolare dipende dal quadro clinico del paziente e dalle sue esigenze. In particolare, l’elemento decisivo che determina la scelta del tipo di trattamento da adottare è lo stato dell’articolazione e il grado di degenerazione della cartilagine. Infatti, scegliere il trattamento non adatto alla situazione specifica del paziente, non sono potrebbe non essere risolutivo, ma potrebbe anche portare a un peggioramento della problematica.
Intervento chirurgico
È indicato quando in danno alla cartilagine è ancora limitato. L’intervento chirurgico è di tipo artroscopico e consiste nella correzione mininvasiva della problematica a livello sia del femore che dell’acetabolo. In genere, l’intervento ha una durata di due ore e prevede due fasi:
- trattamento a livello dell’acetabolo, per ispezionare la cavità articolare e trattare eventuali anomalie (deformità pincer, lesioni cartilaginee e/o labbrali)
- trattamento a livello del femore, per rimodellare la lesione cam con strumenti motorizzati.
Infiltrazioni
Vi si ricorre quando il danno alla cartilagine è piuttosto importante, per cui l’intervento chirurgico risulterebbe inefficace. Lo scopo principale di questo trattamento, effettuato su casi selezionati, è di ridurre il dolore. Tuttavia, non impedisce la futura comparsa di artrosi e non garantisce un ritorno privo di rischi all’attività sportiva consueta, specie se si tratta di sport ad alto impatto sull’articolazione (calcio, corsa). In caso di esigenze funzionali particolari, vengono eseguite infiltrazioni a base di acido ialuronico ad alto peso molecolare e cellule staminali mesenchimali prelevate dal tessuto adiposo del paziente. In ogni caso, a seguito di questo trattamento con infiltrazioni, sarebbe consigliato optare per attività sportive a basso impatto sull’articolazione, come nuoto, canottaggio, ciclismo.
Protesi
Quando il danno alla cartilagine è grave, l’articolazione è severamente usurata e il dolore invade anche i semplici movimenti quotidiani, l’unica soluzione per risolvere il conflitto femoro-acetabolare è la protesi. Negli ultimi anni sia le tecniche di impianto che i materiali sono migliorati sensibilmente, in modo da garantire al paziente una protesizzazione che rispetta i muscoli e tessuti circostanti, lascia piccole cicatrici, dura nel tempo e consente di riprendere la vita e l’attività sportiva normalmente e in tempi non troppo lunghi. Questo è particolarmente importante in caso di pazienti giovani colpiti da artrosi precoce. Infatti, la fascia di età con maggiori interventi di protesi all’anca è proprio quella tra 40 e 55 anni che fino a qualche anno fa era costretta a convivere con il dolore nell’attesa di raggiungere un’età sufficientemente avanzata per ricevere la protesi senza rischio che si usurasse troppo velocemente e fosse necessario un intervento di sostituzione del dispositivo.
Ritorno all’attività sportiva
Per riprendere l’attività sportiva dopo il trattamento chirurgico per risolvere il conflitto femoro-acetabolare è necessario un periodo di riabilitazione, che deve iniziare il prima possibile. I tre pilastri del recupero post-operatorio sono: articolarità, propriocezione, potenziamento.
Nell’immediato post-operatorio, il paziente può camminare e appoggiare il carico sull’articolazione, anche se generalmente è consigliato l’utilizzo di stampelle per le prime due settimane. Sempre in questo periodo il paziente inizia con cyclette e esercizi da svolgere in autonomia seguendo un protocollo molto preciso a partire dal secondo giorno dopo l’intervento. Successivamente, si introduce gradualmente un programma di fisioterapia della durata di 2 mesi, che comprende anche la riabilitazione in acqua a partire dai 15 giorni dopo l’inizio del percorso. La chiave di una buona riabilitazione è il lavoro in assenza di dolore, per evitare di infiammare l’articolazione appena operata e ritardare il recupero, che comunque deve sempre rispettare i tempi biologici. Infine, bisogna considerare che il ritorno all’attività sportiva dipende anche dalla disciplina praticata:
- 3-4 mesi per pallanuoto o ciclismo
- 5-6 mesi per il calcio
- 9-12 mesi per la danza